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La polizia di Berlino interrompe il Congresso sulla Palestina. La libertà di parola diventa una farsa

  Con un'azione che ha pochi precedenti recenti di questo tipo, il governo tedesco è arrivato a disturbare, fino all'impedimento fis...

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La polizia di Berlino interrompe il Congresso sulla Palestina. La libertà di parola diventa una farsa

 


Con un'azione che ha pochi precedenti recenti di questo tipo, il governo tedesco è arrivato a disturbare, fino all'impedimento fisico, il Congresso sulla Palestina, una conferenza internazionale con centinaia di attivisti e militanti.

Pubblichiamo il resoconto della conferenza e delle gesta censorie delle autorità scritto dai compagni di ArbeiterInnenmacht, anch'essi oggetto di repressione poliziesca. A loro, e al movimento per la Palestina in Germania, va la nostra solidarietà.



Le restrizioni ai diritti democratici fanno ormai parte del normale stato di "democrazia". La "solidarietà incondizionata" con Israele, dichiarata da Angela Merkel e Olaf Scholz come la ragion d'essere dello stato tedesco, è chiaramente incompatibile con la libertà di espressione.

Libertà di espressione che è stata messa nel mirino, come raramente prima, il 12 aprile a Berlino, una città che può vantare una lunga storia di violenza e arbitrio da parte della polizia.

Ma mentre tale repressione si concentra "normalmente" su manifestazioni, occupazioni, blocchi stradali, oltre che su atti di disobbedienza civile o sulla ribellione di precari, questa volta l'attacco alla libertà di espressione ha avuto come obiettivo una conferenza organizzata democraticamente, il Congresso sulla Palestina.


RAGIONE DI STATO

La solidarietà con Israele è stata dichiarata, anzi esaltata, come interesse primario della Germania, anche se le sue forze armate hanno appena ucciso circa 40.000 persone, e a Gaza oltre un milione di persone sono state cacciate dalle loro case e le loro città ridotte in macerie. Ora centinaia di migliaia di persone sono minacciate dalla fame. Il governo tedesco, l'opposizione borghese e i media, di fatto coalizzati, si aggrappano alla finzione che Israele stia solo esercitando il suo "diritto all'autodifesa", invece di condurre una guerra di aggressione genocida. E non è tutto: la Germania sostiene la guerra non solo politicamente e diplomaticamente, ma anche militarmente. Solo nel 2023, le esportazioni di armi verso Israele sono decuplicate.

Di conseguenza, questa guerra viene portata avanti anche in Germania. Da un lato, ciò ha lo scopo di lavare ideologicamente la colpa dell'imperialismo tedesco per l'Olocausto, mentre dall'altro, lo stato tedesco sta perseguendo i suoi tangibili interessi economici e, soprattutto, geostrategici.

Lo stesso esercizio del diritto alla libertà di parola è quindi diventato un'attività quasi criminale. Per settimane, gli opinionisti "democratici", sia reazionari che liberali, hanno chiesto ai media di vietare il Congresso sulla Palestina. Poiché ciò non era legalmente possibile, per giorni sono state avanzate richieste e minacce, che sono poi state messe in atto dalla polizia il 12 aprile. Il sindaco conservatore di destra di Berlino Karl Wegner ha minacciato per settimane un "intervento rigoroso" al "minimo sospetto" di dichiarazioni illegali. In parole semplici, ciò non significa altro che la minaccia di criminalizzare qualsiasi critica aperta allo Stato di Israele e alle sue basi razziste, qualsiasi solidarietà con la Palestina, qualsiasi posizione antisionista e qualsiasi difesa dei diritti democratici del popolo palestinese, in particolare del suo diritto all'autodeterminazione nazionale.


UNA PROVOCAZIONE

La giornata di apertura del Congresso sulla Palestina ha quindi avuto inizio con vessazioni inverosimili e assurde. Le norme antincendio ed edilizie sono state usate come pretesto per far entrare solo 250 persone in un locale che può ospitarne 600. Fin dall'inizio, quindi, è stato impedito a centinaia di persone di partecipare all'evento. Inoltre, la polizia ha prolungato artificialmente per ore l'intero processo di ammissione dei partecipanti.

Mentre le autorità negavano l'ingresso a centinaia di persone munite di biglietto, la polizia ha fatto entrare di nascosto giornalisti filosionisti e provocatori del quotidiano conservatore Die Welt, che aveva condotto una campagna gravemente diffamatoria contro l'evento e i diritti dei suoi organizzatori. Inoltre, la polizia ha posto come condizione per l'inizio dei lavori la presenza massiccia di agenti (in uniforme e in borghese). La polizia di Berlino ha schierato circa 900 agenti per ottenere questo risultato e portare a termine questa missione politica. Ed è riuscita a farlo.


IL DISCORSO DI HEBH JAMAL

Nonostante tutte queste vessazioni, provocazioni e metodi da stato di polizia (da cui Putin, Erdogan, Netanyahu, Biden, ma anche Meloni e Macron potrebbero ancora imparare qualcosa), il Congresso è iniziato con un discorso commovente, quello di Hebh Jamal, una giornalista palestinese-americana residente in Germania. Nel suo intervento ha esposto le menzogne, ma anche la cooperazione degli oppressori di tutto il mondo, una cooperazione che non è una teoria del complotto, ma rivela gli interessi comuni di tutte le classi dominanti in un ordine imperialista basato sullo sfruttamento e sull'oppressione. Soprattutto, Hebh Jamal ha chiarito che una conferenza che mette in evidenza i crimini della Nakba, l'espulsione e l'oppressione dei palestinesi, e la complicità dell'imperialismo tedesco, è di per sé un atto di resistenza.

La condanna di questa politica, che la conferenza si è impegnata a promuovere, è necessaria e fa parte della rottura del silenzio. È stato un momento di solidarietà che ci spinge ad agire, ad aumentare e a migliorare il coordinamento del nostro movimento.

Questo è esattamente ciò che l'intero establishment politico tedesco vuole evitare a tutti i costi. Questo "fronte unico" comprende i partiti della coalizione di governo, SPD, Verdi e Liberaldemocratici (FDP), e la principale forza di opposizione, i cristiano-democratici e cristiano-sociali della CDU-CSU, oltre all'estrema destra dell'AfD. Ma, vergognosamente, comprende anche parti del partito di sinistr Die Linke.


ECCO COS'È LA "DEMOCRAZIA" IMPERIALISTA

Il videomessaggio di Salman Abu Sitta, autore e ricercatore palestinese, cui lo stato tedesco aveva vietato l'ingresso nel paese a causa del suo coinvolgimento nel movimento di resistenza, è stato fermato dalla polizia dopo pochi minuti dall'inizio e senza alcun motivo apparente. Alla fine, all'avvocato degli organizzatori sono state fornite diverse motivazioni contraddittorie, molto discutibili anche dal punto di vista legale. A un certo punto la polizia ha spiegato che il discorso poteva contenere passaggi che potevano costituire un incitamento all'odio, e che ciò sarebbe stato oggetto di indagine. Sulla base del fatto che non si possono chiedere troppe "ragioni" per l'operato della polizia, è stato poi aggiunto che Salman Abu Sitta è stato bandito dall'attività politica in Germania.

La polizia non ha saputo dire quando e da chi ciò sia stato deciso, né se la riproduzione di un videomessaggio rientrasse nel divieto. Ma chi ha bisogno di motivazioni quando si ha a disposizione il monopolio dell'uso della forza? E per fugare ogni dubbio che il diritto alla libertà di riunione e di parola fosse calpestato, il congresso e tutti gli eventi successivi sono stati vietati e annullati sia il sabato che la domenica seguenti.

La polizia è così riuscita a interrompere e disperdere il Congresso. Ma non ci faranno tacere e non raggiungeranno il loro obiettivo di distruggere il nostro movimento, che sta crescendo e diventando sempre più forte.

Al contrario. Lo scioglimento arbitrario del congresso e l'attacco alla libertà di espressione non solo rivelano il carattere repressivo della polizia. Illustrano anche il carattere antidemocratico della politica del governo tedesco. E mostrano lo stretto legame tra la politica imperialista e la necessità di mantenere il monopolio dell'opinione pubblica. Oltre alla repressione, ci troviamo di fronte anche ad agitazioni e calunnie orchestrate, inclusa una massiccia ondata di razzismo antipalestinese, antimusulmano e antiarabo.

A nostro avviso, il fatto che i media tedeschi abbiano puntato anche i compagni dell'organizzazione ArbeiterInnenmacht [sezione tedesca della League for the Fifth International] e del suo gruppo giovanile REVOLUTION dimostra che abbiamo fatto qualcosa di buono. Tuttavia non vogliamo dimenticare che nelle ultime settimane l'establishment tedesco non ha nemmeno mancato di mostrare il suo lato antisemita, quando ha diffamato pubblicamente gli ebrei antisionisti, in particolare i compagni della Jewish Voice for a Just Peace in the Middle East, e la cassa di risparmio di Berlino ha bloccato il loro conto associativo. Ma non dobbiamo dimenticare che sono soprattutto i nostri compagni palestinesi a essere brutalmente attaccati, le cui associazioni e organizzazioni sono minacciate e criminalizzate, e su cui pende la spada di Damocle dell'espulsione, mentre allo stesso tempo i loro amici e parenti muoiono o vengono buttati fuori dalle loro terre.

Oggi, 12 aprile 2024, i Wegner e i Giffey, gli Scholz e i Baerbock hanno potuto sciogliere il nostro congresso. Hanno i mezzi per farlo. Ma potrebbero non essere troppo sicuri del loro "successo", della loro "vittoria" sui nostri diritti democratici, e di certo non se la godranno troppo a lungo. Anche se sono riusciti a sciogliere il nostro congresso, esso è diventato - come una delle piccole ironie della storia - ancora più noto in tutto il mondo. Soprattutto, la repressione ha sensibilizzato molte più persone sul carattere reazionario e antidemocratico del capitalismo tedesco di quanto avrebbero potuto fare i nostri discorsi, contributi, discussioni e risoluzioni. L'imperialismo tedesco, in particolare, ha trascorso decenni a costruirsi l'immagine di essere relativamente "democratico" e "basato sui valori". Ma ora sta smascherando questa bugia autocelebrativa.

Faremo in modo che gli vada di traverso. Possono vietare un congresso, ma non spezzeranno la nostra resistenza, la nostra volontà di combattere, la nostra determinazione. Perché, a differenza loro, noi lottiamo per una causa giusta, per la libertà e l'autodeterminazione del popolo palestinese, per un mondo senza sfruttamento e oppressione.

Martin Suchanek

Lo scontro fra Iran e Israele

 


La crisi dell'ordine imperialistico del mondo



L'azione militare iraniana della scorsa notte contro Israele è parte dell'aggravamento della crisi internazionale. Effetto e concausa al tempo stesso. La dinamica degli avvenimenti in corso non è ancora definita. Diverse variabili sono in campo. Ma è possibile inquadrare alcuni primi elementi essenziali.


L'azione militare iraniana è una risposta all'attacco omicida dello stato sionista al consolato iraniano di Damasco. La risposta in sé è legittima. Israele ha bombardato la sede diplomatica di uno stato estero, entro i confini di un altro stato, con un'azione militare banditesca. Talmente banditesca che Israele stesso non ha potuto rivendicarla pubblicamente. Negare all'Iran il diritto di rispondere all'attacco subito significherebbe affermare il diritto israeliano all'impunità. Ciò che sarebbe inconcepibile, tanto più nel quadro della guerra di annientamento intrapresa dallo stato sionista contro il popolo palestinese di Gaza, con la complicità degli imperialismi alleati.

Sostenere questo diritto di replica, in barba a ogni pacifismo ideologico, non significa certo per parte nostra appoggiare politicamente il regime arcireazionario della Repubblica islamica, né rivendicare una guerra tra lo stato iraniano e lo stato sionista. Il regime islamico iraniano è e resta un regime dispotico, responsabile dell'oppressione quotidiana dei lavoratori, dei giovani, delle donne, della popolazione curda. Un'oppressione terribile e sanguinosa. Ma a rovesciare questo regime hanno diritto la classe operaia e le masse oppresse iraniane in funzione di una propria prospettiva di liberazione, non certo l'imperialismo e il sionismo per via militare e in funzione dei propri interessi egemonici.

È importante ora comprendere la logica dei diversi attori dello scontro, e il groviglio di contraddizioni che lo attraversa. La Repubblica Islamica ha dovuto rispondere all'attacco israeliano al proprio consolato in Siria per evitare di apparire una tigre di carta agli occhi dei propri alleati e interlocutori regionali. Al tempo stesso non ha alcuna intenzione di avventurarsi in una guerra dispiegata che possa mettere a rischio la propria tenuta e sopravvivenza. Da qui una reazione militare contenuta, prevalentemente dimostrativa, annunciata con largo anticipo, indirettamente concordata per alcuni aspetti, nella sua moderazione, con la stessa diplomazia degli imperialismi avversari, inclusa la diplomazia USA.

L'incognita vera ora è la reazione israeliana. Il governo Netanyahu, e segnatamente il premier, hanno usato in questi sette mesi la guerra di Gaza come mezzo della propria sopravvivenza politica. Hanno utilizzato naturalmente il sostegno inossidabile degli imperialismi alleati, a partire dall'imperialismo USA, ma anche forzato e travalicato i loro “consigli” nella gestione delle operazioni miliari. Parallelamente hanno cercato di polarizzare lo scontro su scala regionale contro l'Iran per costringere gli imperialismi alleati a schierarsi al proprio fianco, e restringere il loro spazio di manovra. Lo stesso attacco al consolato iraniano, in attesa di un'inevitabile risposta, rientrava in questo gioco spregiudicato. Tuttavia, oltre a una certa soglia il gioco di Netanyahu si fa rischioso.

Tutte le potenze imperialiste, a partire dagli USA, chiedono al governo israeliano di non rispondere all'attacco iraniano con una propria ritorsione militare, ma di attendere una risposta internazionale congiunta di carattere diplomatico. In pratica Biden chiede a Netanyahu di non aprire la guerra contro l'Iran, e di evitare una spirale incontrollabile. La stessa pronta assistenza militare americana e britannica a Israele nel fronteggiamento dei droni iraniani, anche col ricorso a portaerei e caccia, è in funzione di un preciso messaggio a Netanyahu: “Proprio perché insieme ti abbiamo difeso, ora ti chiediamo di muoverci insieme”. In altri termini: ti offriamo la condanna diplomatica dell'Iran in cambio della rinuncia ad una tua guerra contro l'Iran.

Questa complessa dialettica in corso richiama le contraddizioni di fondo dell'imperialismo USA e la crisi della sua egemonia su scala mondiale. Tutta la politica USA, a partire dal 2008, è strategicamente mirata al contrasto dell'imperialismo cinese, e di riflesso del suo alleato russo. Gli accordi di Abramo nel 2020 fra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, servivano agli USA per cercare di “pacificare” la regione (sulla pelle dei palestinesi) dentro un nuovo equilibrio e architettura diplomatica, che consentisse loro di volgersi verso il Pacifico, concentrando su quel versante le proprie forze. Ma prima la crisi ucraina, poi la crisi di Gaza, hanno richiamato l'imperialismo USA ai propri doveri di potenza imperialista dominante su scacchieri imprevisti. Un ruolo dominante, tuttavia, ben più fragile che in passato. Tanto più in Medio Oriente.

L'imperialismo russo è tornato in gioco in Medio Oriente grazie alla guerra siriana col sostegno determinante ad Assad. L'imperialismo cinese ha officiato la distensione tra Arabia Saudita ed Iran, rompendo l'isolamento di quest'ultimo ed entrando nella partita regionale. La Turchia gioca il ruolo di potenza regionale autonoma in funzione di un proprio disegno neoottomano, al punto da sostenere Hamas e negare agli USA ogni possibile uso del proprio spazio aereo per una guerra eventuale contro l'Iran. La guerra di Israele a Gaza, con la sua gestione in proprio, più volte indifferente alle preoccupazioni americane, ha misurato e aggravato a sua volta la crisi di egemonia USA nella regione, buttando all'aria la tela di Abramo, e favorendo il libero gioco di tutti gli imperialismi e potenze rivali.

In questo quadro, l'imperialismo USA non vuole oggi la guerra dispiegata contro l'Iran. Ha bisogno di recuperare il bandolo di un'iniziativa politica in Medio Oriente, non di una guerra fuori controllo che potrebbe tracimare in un conflitto mondiale. Parallelamente, i fatti internazionali dimostrano che non tutto si svolge secondo i calcoli e la volontà degli USA, come vorrebbero tante rappresentazioni da operetta. Da qui le incognite e i pericoli obiettivi.

Di certo l'intera piega degli avvenimenti mondiali dimostra la crisi dell'ordine imperialistico nel mondo.
L'egemonia USA è apertamente in crisi, e al tempo stesso non si delinea una egemonia alternativa. L'imperialismo mondiale è privo di un baricentro, dentro una competizione tra vecchie e nuove potenze imperialiste per la spartizione del mondo. Ciò che determina il moltiplicarsi degli attori, su scala mondiale e regionale, con effetti e risultanti imprevedibili.
Nessuna potenza imperialista vuole oggi la terza grande guerra. Ma la corsa alle armi di tutte le potenze imperialiste, vecchie e nuove, è di fatto, nella prospettiva storica, una corsa verso la guerra e la sua preparazione. Solo una rivoluzione socialista, che saldi le ragioni della classe operaia con le ragioni di tutti i popoli oppressi, può scongiurare questa prospettiva tragica per l'umanità.

Partito Comunista dei Lavoratori

Ucraina. Dove va la guerra

 


La corsa alle armi degli imperialismi in Europa e la piega della guerra. La crisi del fronte ucraino. Il posizionamento dei marxisti rivoluzionari

12 Aprile 2024

English translation

Rullano i tamburi di guerra, ma anche letture improvvisate. È bene attenersi al principio di realtà. Il metodo del marxismo.


LA CORSA ALLE ARMI DI TUTTI I POLI IMPERIALISTI. ANCHE NELL'UNIONE EUROPEA

La corsa agli armamenti da parte di tutte le potenze imperialiste, vecchie e nuove, è in pieno svolgimento ed è di ampia portata. Se l'imperialismo russo si è strutturato come economia di guerra, se l'imperialismo cinese incrementa in misura esponenziale i propri investimenti militari, altrettanto fanno gli imperialismi NATO. Inclusi gli imperialismi europei.
Nel 2021 gli stati europei spendevano collettivamente 184 miliardi annui per la Difesa, nel 2024 arriveranno a 350 miliardi. Un aumento del 90% in tre anni. Sommando i paesi della UE alla Gran Bretagna, la loro spesa annua complessiva in investimenti militari è quattro volte superiore alla spesa militare della Russia, e supera di 50 miliardi la spesa militare della Cina.
La guerra in Ucraina ha sicuramente costituito un fattore dirompente in questa espansione degli investimenti militari in Europa. Al tempo stesso, tale espansione è enormemente superiore per dimensioni e tasso di crescita agli aiuti militari all'Ucraina (nella realtà sempre più centellinati).

Gli imperialismi NATO si armano non “per l'Ucraina” ma in previsione di possibili grandi guerre del futuro, in Europa e sul Pacifico, in contrapposizione alla Cina e al polo russo-cinese. La corsa alle armi è in questo senso, in una prospettiva storica, la corsa verso la guerra: lungo la rotta di collisione tra le potenze vecchie e nuove per la spartizione del mondo. La contrapposizione alla guerra è allora innanzitutto la contrapposizione all'imperialismo, a tutti gli imperialismi, a tutte le loro guerre d'invasione. Il che implica la difesa di tutti i popoli e le nazioni invase dagli imperialismi, indipendentemente dai loro governi e direzioni.

chtCentrale da ogni versante è la prospettiva del rovesciamento rivoluzionario dell'imperialismo stesso: l'unica vera soluzione di pace, durevole e giusta, su scala globale. Se vuoi la pace prepara la guerra, gridano in coro le classi dirigenti imperialiste, a tutte le latitudini del mondo, oggi anche in Europa. Se vuoi la pace prepara la rivoluzione, diceva Karl Liebknecht un secolo fa. È la nostra impostazione generale, classista e internazionalista, contrapposta ad ogni borghesia, estranea ad ogni illusione riformista e pacifista.

Questo quadro generale di riferimento non rimuove l'esigenza di una lettura specifica di ogni dinamica di guerra, nella sua concretezza e nelle sue contraddizioni. Così è per la guerra in Ucraina. Abbiamo prodotto in questi due anni come PCL e come Opposizione Trotskista Internazionale (OTI) molto materiale sulla guerra. Facciamo ora il punto sulla piega degli avvenimenti in corso. Un aggiornamento dell'analisi, la conferma di un metodo e posizionamento.


LA GUERRA IN UCRAINA VOLGE A FAVORE DELLA RUSSIA

Il fronte di guerra in Ucraina sembra volgere a favore della Russia. Le famose sanzioni degli imperialismi NATO, che nelle loro previsioni avrebbero dovuto piegarla, non hanno sortito effetto, se non quello di consolidare il sostegno popolare grande-russo attorno a Putin.
Putin si è rafforzato sul fronte interno. Ha capitalizzato con successo il fallimento della rivolta di Prigozhin, sino alla sua eliminazione. Ha decapitato l'opposizione borghese liberale di Navalny. Ha conosciuto un obiettivo successo elettorale, al di là della natura e dei metodi del regime. Sta sfruttando l'attentato terroristico dell'ISIS per compattare la popolazione nel sostegno alla guerra.
Militarmente dispone di una forza molto superiore all'Ucraina in fatto di uomini, missili, arei, munizioni di artiglieria. Sfrutta il contesto politico internazionale: la guerra in Palestina che distoglie attenzioni e fondi degli USA dal fronte ucraino, l'imminenza delle elezioni americane, la debolezza di Biden, il rafforzamento di Trump. Ed anche la crescente avversione dell'opinione pubblica europea verso gli aiuti militari all'Ucraina, e a maggior ragione verso un aumento dell'impegno militare a suo favore. Tutto lo scenario internazionale sembra volgere a favore di Putin. Incluso il rafforzamento delle destre sovraniste in Europa.

Gli imperialismi UE non sembrano oggi in grado di sostituire gli USA nel sostegno militare all'Ucraina. Né economicamente né politicamente, e neppure militarmente. Il grande salto di investimenti militari in Europa non ha ancora conosciuto una traduzione tempestiva e corrispondente in termini materiali. Manca un complesso industriale-militare capace di rimpiazzare quello americano. Le diverse industrie belliche nazionali competono l'una con l'altra, con diciassette sistemi d'arma diversi.
Si moltiplicano inoltre le contraddizioni fra i diversi stati nazionali imperialisti. La principale potenza militare europea, la Francia, ha alluso con Macron allo scenario di un possibile intervento diretto di truppe francesi o NATO in Ucraina. Ma è una sparata a salve. Tutti gli esperti militari concordano nel ritenere che la Francia non reggerebbe neppure una settimana di guerra vera sul campo, per l'assenza di un supporto militare adeguato. Perché Macron allora è uscito con questa allusione? Per un insieme di ragioni: sottolineare che la Francia è la principale potenza militare in UE, e non la Germania (nonostante i 100 miliardi di investimento militare stanziati dal governo tedesco); che è la Francia, quale principale potenza militare europea, ad essere titolata a guidare in futuro un eventuale negoziato di pace in Europa, e non la Germania. Forse si è trattato anche un tentativo di minaccia deterrente (velleitaria) nei confronti della Russia (del tipo: “non pensate di arrivare a Kiev, perché altrimenti...”, ecc).

In ogni caso, con la sua uscita, Macron ha indirettamente contribuito a spiegare a tutti la differenza di fondo tra un intervento militare diretto e un sostegno militare esterno. La NATO e i suoi imperialismi portanti si sono affrettati a dichiarare che non vogliono entrare direttamente in guerra contro la Russia. Lo stesso governo francese ha ripiegato.
Il punto è che mentre l'intervento diretto è una minaccia a salve, il sostegno esterno è sempre più debole. Questo è un problema oggettivo per il governo ucraino.


LA CRISI DEL FRONTE UCRAINO

Gli aiuti militari che gli imperialismi occidentali hanno inviato all'Ucraina si sono rivelati assai più modesti nella realtà che nella propaganda: una controffensiva fallita per assenza di copertura aerea, assenza cronica di munizioni, mancanza di sistemi Patriot per proteggere le città dai missili ipersonici russi... L'avanzata russa sul fronte di guerra è (anche) la risultante di questo.
Nel mentre si complica il fronte politico interno all'Ucraina. Il governo borghese di Zelensky ha evitato le elezioni ma non può evitare la demotivazione legata agli insuccessi. Il fallimento della controffensiva è stato un boomerang. Il disincanto della popolazione accresce le difficoltà di reclutamento. Il reclutamento forzato aumenta lo scollamento interno.

Zelensky ha dovuto rinunciare al reclutamento annunciato di 500000 uomini, limitandosi ad abbassare da 27 a 25 anni l'età della coscrizione. Ma non sa su quali numeri reali potrà contare. Intanto le contraddizioni interne all'apparato militare e amministrativo si allargano. Il Presidente ucraino cerca di aggirare le difficoltà prendendo tempo, massimizzando le pressioni su USA, NATO, UE per ottenere nuovi aiuti, promuovendo continui cambi ai vertici delle forze armate, centralizzando il comando nelle proprie mani, cercando di moltiplicare gli interventi militari ucraini in territorio russo attraverso le imprese spettacolari dei droni.

Sinora l'unico colpo riuscito riguarda l'intervento sulla marina russa nel Mar Nero, e il bombardamento di una serie di raffinerie in Russia (nonostante la raccomandazione contraria degli USA). Ma l'effetto materiale è inevitabilmente modesto. E l'effetto propagandistico sul piano interno è effimero. Mentre gli attacchi alla popolazione civile russa, per quanto limitati alla frontiera, offrono nuovi argomenti allo sciovinismo imperialistico di Putin, che addirittura cerca di attribuire all'Ucraina la responsabilità dell'attentato terroristico al Crocus. Una attribuzione grottesca, falsa e cinica, che ha trovato sponda in Italia in qualche ambiente vicino al Fatto Quotidiano (come nel caso di Pino Arlacchi). Ma una attribuzione che in Russia fa leva sui riflessi condizionati pavloviani del clima di guerra. Per l'Ucraina è un ulteriore problema.


I POSSIBILI SCENARI DELLA GUERRA

Non facciamo previsioni militari ma valutazioni politiche. Putin cercherà probabilmente di simulare disponibilità negoziali per accrescere le difficoltà degli imperialismi NATO sul fronte della loro opinione pubblica. Ma non ha oggi la necessità di trattare, essendo all'offensiva sul fronte militare. Né ha l'interesse a farlo sino alle elezioni di novembre negli USA, dove spera che una eventuale (probabile?) vittoria di Trump possa offrirgli altre carte da giocare.
Putin proseguirà dunque congiuntamente l'offensiva militare e la manovra diplomatica. L'obiettivo militare è riconquistare Charkiv a nord e puntare ad Odessa nel sud, la cui conquista sarebbe fondamentale per chiudere all'Ucraina ogni sbocco sul mare, precipitare la sua crisi interna, poter esibire un trofeo di grande prestigio all'opinione pubblica russa. Medvedev per parte sua continua a ribadire pubblicamente che l'obiettivo di fondo della Russia resta Kiev, perché il popolo ucraino come entità distinta non può esistere. Di certo le ragioni imperiali della guerra russa sono ribadite a ogni passo. Chi parla di guerra per procura della NATO rimuove le ragioni dichiarate dell'imperialismo russo già al piede di partenza dell'invasione.

È possibile un crollo del fronte militare ucraino? È possibile. In assenza di mezzi, uomini, munizioni, Zelensky può essere costretto ad arretrare la linea di difesa. Nei fatti, la gestione della guerra da parte della borghesia ucraina e del suo governo volge al peggio. Ha puntato tutto solo sull'aiuto degli imperialismi NATO, col risultato di trovarsi scoperto proprio su quel versante. L'aiuto non solo non sarà incrementato, ma sarà sempre più problematico. Il Congresso USA ha congelato i fondi. La proposta di 100 miliardi in cinque anni ventilati da Stoltenberg (NATO) si trova già contestata al piede di partenza da diversi paesi. L'uso dei fondi russi depositati in Occidente si scontra con gli interessi del capitale finanziario e le regole del suo casinò.

Le stesse promesse politiche all'Ucraina segnano il passo. La promessa dell'ingresso dell'Ucraina nella NATO deve attendere la fine della guerra, perché altrimenti la NATO sarebbe vincolata a un intervento diretto che non è nei suoi desideri. L'ingresso dell'Ucraina nella UE cammina su tempi lunghi, ed è osteggiato per ragioni finanziarie dagli stessi paesi alleati (Polonia) che temono di perdere i sussidi agricoli. Diversi imperialismi UE stringono accordi bilaterali con l'Ucraina (generalmente decennali) a futura memoria, ma tutti perciò stesso riguardano il dopoguerra e la spartizione del mercato della ricostruzione più che il conflitto in corso, rivelando l'assenza di una linea UE dentro la concorrenza spietata tra i suoi imperialismi nazionali.


IL PUGNO DI MOSCHE DI ZELENSKY. LE IPOTESI DI “PACE PER PROCURA” TRA IMPERIALISMI

La linea di Zelensky si trova in mano un pugno di mosche. Nello sforzo di garantirsi il sostegno dei capitalisti ucraini, Zelensky ha moltiplicato le misure a loro favore riducendo loro le tasse, liberalizzando i licenziamenti, comprimendo i diritti sindacali, moltiplicando svendite e privatizzazioni a vantaggio dei capitali occidentali. Ma così ha semplicemente demotivato le energie difensive della popolazione ucraina, quelle che all'inizio della guerra si erano espresse nell'arruolamento di centinaia di migliaia di volontari per difendere il paese dall'invasione e ora sono largamente rifluite o depresse. Una guerra di liberazione nazionale sotto la guida della borghesia ucraina ha rivelato inevitabilmente tutte le proprie debolezze. A due anni dall'invasione russa e dalla vittoriosa difesa di Kiev contro la colonna di 60 chilometri di carri armati russi, la linea Zelensky mostra la corda. Un'opposizione di classe in Ucraina dovrebbe contestare la gestione borghese della guerra investendo nella mobilitazione indipendente della classe operaia e della popolazione povera: quella interessata a difendere il proprio lavoro e i propri diritti dagli invasori russi, ma anche dagli oligarchi ucraini, che Zelensky protegge.

Le diplomazie imperialiste stanno cercando dietro le quinte una via d'uscita per sé, non per l'Ucraina. La trama ufficiosa su cui si lavora, dietro le quinte, sembra quella di una tregua fondata sullo scambio: l'Ucraina concede alla Russia i territori conquistati con l'invasione, la NATO offre ospitalità a ciò che resta dell'Ucraina. Un compromesso tra briganti. Una spartizione dell'Ucraina tra imperialismo invasore e imperialismi NATO. Oggi l'operazione di scambio fatica ad aprirsi un varco, ma un'elezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti potrebbe ampliare le sue chance. Tanta parte del pacifismo saluterebbe forse questa soluzione come la ritrovata “pace”. Ma sarebbe una pace imperialista. Una pace per procura tra vecchie e nuove potenze.

Può essere che l'Ucraina si trovi in futuro costretta a tale soluzione da un rapporto di forza obiettivamente impari. In ogni guerra sono possibili cedimenti obbligati e dolorosi. Valse persino per i bolscevichi a Brest-Litovsk. Ma ciò non muterebbe la natura imperialista della soluzione siglata: l'imperialismo russo vedrebbe premiata la ragione annessionista della propria guerra; gli imperialismi NATO allargherebbero ulteriormente la propria alleanza in Europa, dopo l'ingresso di Svezia e Finlandia. Una simile pace non potrebbe essere definita diversamente che come pace tra briganti.


IL POSIZIONAMENTO INDIPENDENTE DEI MARXISTI RIVOLUZIONARI

Ricapitoliamo allora il nostro posizionamento, da marxisti rivoluzionari, verso la guerra in Ucraina.

1) Abbiamo difeso e difendiamo l'Ucraina e il suo diritto di resistenza dalla guerra d'invasione dell'imperialismo russo, che era ed è anche il diritto ad usare a questo scopo gli aiuti militari (interessati) degli imperialismi NATO. La storia delle resistenze dei popoli oppressi ha mostrato un'infinità di volte il loro utilizzo a proprio vantaggio delle contraddizioni imperialiste. La resistenza irlandese alla Gran Bretagna usò l'appoggio tedesco, la resistenza etiope all'Italia usò l'appoggio britannico, la resistenza curda all'ISIS ha usato recentemente l'appoggio americano... Tutti gli appoggi erano interessati. Ma il loro uso è stato legittimo. Lo stesso vale per l'Ucraina.

2) La nostra difesa dell'Ucraina dalla guerra d'invasione russa non significa appoggio politico a Zelensky. Al contrario. Il governo borghese di Zelensky è contro i lavoratori a vantaggio degli oligarchi e degli imperialismi occidentali. La stessa gestione borghese della guerra ha contribuito ad accrescere le difficoltà della resistenza. Un'opposizione di classe in Ucraina deve battersi contro il governo Zelensky per misure anticapitaliste (esproprio dei capitalisti, cancellazione del debito verso il capitale finanziario, armamento operaio e popolare) e per una alternativa di governo (un governo dei lavoratori). È la lotta per una direzione di classe alternativa della resistenza all'invasione russa. Per una soluzione socialista della crisi ucraina.

3) Siamo contrari a ogni escalation interimperialista della guerra, a ogni invio di truppe NATO in Ucraina, a ogni rafforzamento e allargamento della NATO, a ogni incremento di spese militari degli imperialismi di casa nostra. Per questa stessa ragione non abbiamo rivendicato l'invio di armi all'Ucraina. L'Ucraina ha il diritto ad usarle per difendersi dalla guerra d'invasione dell'imperialismo russo, noi abbiamo il dovere di mettere in guardia (anche) i lavoratori ucraini dagli interessi predatori degli imperialismi NATO. A maggior ragione, se la guerra si trasformasse in uno scontro diretto tra la Russia e gli imperialismi NATO, con l'invio di truppe NATO in Ucraina (scenario ad oggi improbabile), la nostra posizione cambierebbe in direzione di un disfattismo bilaterale su entrambi i fronti.

4) La nostra soluzione di giusta pace ha rivendicato, sin dall'inizio della guerra, il ritiro delle truppe d'invasione russa dai territori annessi dopo il febbraio 2022, il diritto di libera autodeterminazione delle popolazioni del Donbass (che difendemmo dopo il 2014 dal governo reazionario ucraino post-Maidan), il riconoscimento dell'appartenenza della Crimea alla Russia (in quanto la sua popolazione è russa), la neutralità dell'Ucraina rispetto ai poli imperialisti. È una soluzione oggi distante dai rapporti di forza sul campo, e dai progetti dei principali attori. Ma è l'unica soluzione rispettosa dei diritti dei popoli. Altre soluzioni di pace possono rivelarsi, a certe condizioni, inevitabili. Ma sarebbero soluzioni imperialiste, patteggiate da predoni.

In conclusione. Su ogni versante e in ogni piega della guerra, il posizionamento dei marxisti rivoluzionari muove sempre da un'angolazione di classe, anticapitalista, internazionalista. È ciò che ci distingue dai campisti, dai pacifisti, dai riformisti, dai centristi di ogni declinazione ed estrazione. Ne siamo orgogliosi.

Partito Comunista dei Lavoratori

A sostegno della protesta pro Palestina nelle università

 


Giù le mani dagli studenti! Palestina libera!

Si diffonde la protesta nelle università italiane. Una protesta che unisce migliaia di studenti, docenti, ricercatori, contro la barbarie che si sta consumando a Gaza, dove giorno dopo giorno, in un crescendo di orrore e brutalità senza fine, uomini, donne, bambini vengono privati di cibo, casa, cure, e sono oggetto di una guerra di annientamento; mentre nella vicina Cisgiordania non si contano i rastrellamenti omicidi dell'esercito israeliano contro le forze della resistenza, uniti alla violenza squadrista dei coloni che sequestrano terre, distruggono case, promuovono il terrore contro i palestinesi residenti.

Di fronte a tutto questo, migliaia di studenti in tante università italiane hanno detto semplicemente “basta!”. Lo hanno detto in forme diverse: o contestando la partecipazione a conferenze universitarie di dichiarati esponenti della campagna sionista pro Israele, o interrompendo lezioni ordinarie per leggere e diffondere comunicati di denuncia, o facendo pacifica irruzione nei rispettivi senati accademici per prendere parola e avanzare richieste.
La richiesta comune è la fine della collaborazione delle università italiane con le università israeliane nel campo della ricerca scientifica, tecnologica, militare. Una richiesta sottoscritta da migliaia di docenti ed esponenti della cultura. Una richiesta che sosteniamo.

Contro la protesta studentesca si è prontamente levato il governo a guida postfascista. Giorgia Meloni si è detta preoccupata. Il suo cognato-ministro Lollobrigida ha denunciato il pericolo di un ritorno del terrorismo (!). La peggiore stampa reazionaria ha evocato l'intervento di polizia e carabinieri per "riportare l'ordine” nelle università. La ministra per l'Università Bernini, più cautamente, ha riunito i rettori in conclave per affidarsi alle loro autonome decisioni, inclusa quella di chiamare eventualmente la polizia. Su tutto primeggia l'appello solenne alla “democrazia”, alla “tolleranza”, al “rispetto delle opinioni”, assieme alla rituale denuncia dell'”antisemitismo risorgente”. Una denuncia che... in bocca agli eredi postfascisti dell'Olocausto fa una certa impressione.

La verità è che l'antisemitismo non c'entra nulla, come non c'entra nulla Giorgia Meloni con la democrazia. C'entra invece il sionismo, l'ideologia nazionalista reazionaria che supporta lo Stato d'Israele quale Stato coloniale, costruito sulla cacciata dei Palestinesi dalla loro terra. Un'ideologia che, identificandosi abusivamente con l'ebraismo, non solo ignora e calpesta la migliore tradizione storica di quest'ultimo, ma perciò stesso lo espone in tutto il mondo al rischio dei peggiori rigurgiti antisemiti.
Quando migliaia di studenti chiedono la fine della collaborazione con le università israeliane non chiamano affatto in causa gli ebrei. Chiamano in causa una forma di complicità e di sostegno allo Stato sionista, alla sua ricerca tecnologico-militare, alla sua azione di sequestro della terra, dell'acqua, del cibo, dei palestinesi. Complicità e sostegno che l'Italia continua ad assicurare ad Israele.

“Intolleranza”? Lo scandalo sta semmai nella tolleranza dell'azione genocida, da ormai cinque mesi, da parte della cosiddetta comunità internazionale. Quella che mentre piange lacrime ipocrite per l'”eccesso” di vittime civili a Gaza, continua ad armare lo Stato sionista, ripiana i suoi bilanci, gli mette a disposizione il fior fiore della ricerca. Migliaia di studenti non sono più disposti a tollerare tutto questo, né la negazione di tutto questo.

Di più. Migliaia di studenti oggi si chiedono: come è possibile che l'opinione pubblica mondiale sia a favore del popolo palestinese e invece le principali autorità del mondo difendono lo Stato d'Israele e la sua politica genocida, al punto persino da proibire o minacciare o manganellare le manifestazioni pro Palestina? Dove sta la democrazia, le sue promesse, la sua retorica, se i fatti la sbugiardano ogni giorno? Gaza diventa allora uno squarcio di verità sull'intero scenario del mondo.

E la verità è che la decantata “democrazia” è solo una finzione nella società borghese. Il potere reale si concentra nelle mani di una minoranza privilegiata di grandi azionisti, grandi manager, grandi capitalisti, e degli apparati statali al loro servizio. Il famoso diritto internazionale da tutti evocato è solo il diritto della forza degli Stati imperialisti, vecchi e nuovi, che lottano tra loro per la spartizione del mondo sulla pelle dei popoli oppressi e della maggioranza dell'umanità.

Il colonialismo è inseparabile dall'imperialismo. Il colonialismo sionista non a caso si è appoggiato prima all'imperialismo britannico e poi all'imperialismo americano, che oggi ne costituisce lo scudo assieme agli imperialismi europei. Quanto all'imperialismo russo, sta approfittando della guerra in corso in Palestina per proseguire la propria guerra d'invasione in Ucraina, mentre l'imperialismo cinese si allarga in Africa, in America Latina, e sul Pacifico.
Intanto la corsa gigantesca agli armamenti attraversa tutti i continenti e minaccia in prospettiva una nuova grande guerra.
Così va oggi il mondo. Né potrebbe andare diversamente, nel quadro del capitalismo.

Solo una rivoluzione socialista può liberare l'umanità e tutti i popoli oppressi dalla piaga del capitalismo e dell'imperialismo, e quindi da ogni forma di colonialismo e di guerra. Il sostegno ai palestinesi e alla loro resistenza può e deve connettersi a questa prospettiva storica di liberazione.

A maggior ragione oggi diciamo: giù le mani dagli studenti! Palestina libera!

Partito Comunista dei Lavoratori


ANCORA IL MANGANELLO AL SERVIZIO DEL SIONISMO

 


Il Partito Comunista dei Lavoratori esprime la propria incondizionata solidarietà alle studentesse e agli studenti che ancora una volta hanno subito la repressione violente delle forze del disordine.

È successo mercoledì davanti al Rettorato del Università di Bologna.

Oggi il PCL si associa alla legittima occupazione dello stesso Rettorato da parte delle giovani e dei giovani palestinesi

Stigmatizza il comportamento becero del rettore che ha impedito alle studentesse di esprimere la propria denuncia della complicità istituzionale, compresa quella dell’Università, del genocidio perpetrato dal regime sionista israeliano nei confronti del popolo palestinese, e contro la missione militare dell’imperialismo italiano nel Mar Rosso.

Ritiene indegno questo personaggio, con il suo comportamento da energumeno, a rappresentare il prestigioso ateneo.

Si è già scatenata a comando la canea politico mediatica filosionista che usa come una clava l’accusa di antisemitismo contro il movimento studentesco che solidarizza con la causa palestinese.

Si tratta di una vomitevole ipocrisia e di autentiche lacrime di coccodrillo.

Rigettiamo con forza questa accusa, e anzi rivoltiamo l’accusa di razzismo nei confronti dei mass media, del mondo politico e istituzionale che favoriscono obbiettivamente l’eccidio di un intero popolo.

A istituzioni criminali come queste e ai loro sgherri non si deve ubbidire. Bisogna solamente programmarne il rovesciamento verso una società socialista, l’unica in grado di tutelare il diritto di chiunque di autodeterminarsi, come individui e come popoli.

Nello stesso momento, la stessa canea con le medesime firme scatena un’ondata di odio razzista islamofobo senza precedenti nei confronti degli insegnanti della scuola di Pioltello rei ei di aver interrotto per un giorno le lezioni in occasione della fine del ramadan, dimostrando così in modo esemplare cosa vuol dire una scuola inclusiva e antirazzista.

Mentre il pericolo di antisemitismo viene sbandierato ipocritamente dalle forze eredi del regime fascista che perseguitò a morte gli ebrei, quelle stesse forze spandono il mefitico veleno del razzismo antislamico.

Avanti con la solidarietà al popolo palestinese e alla sua lotta di liberazione

Incondizionatamente a fianco della Resistenza dei partigiani palestinesi

Per la distruzione rivoluzionaria dello Stato di Israele

Per una Palestina, libera laica e socialista nell’ambito di una Federazione socialista del Medio-Oriente.

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI - SEZIONE DI BOLOGNA

Le elezioni in Sardegna e la capitolazione della sinistra


 Sinistra Italiana e Rifondazione Comunista come ruote di scorta dei poli borghesi

Le elezioni regionali in Sardegna hanno registrato una sconfitta politica di Giorgia Meloni. Sul terreno strettamente elettorale le liste della destra hanno persino ampliato la propria percentuale di voto rispetto al risultato delle elezioni politiche del 25 settembre 2022. Ma l'impopolarità del candidato Paolo Truzzu, in particolare a Cagliari, ha zavorrato la coalizione trascinandola nel burrone.
Giorgia Meloni si era intestata sia il candidato sia la campagna elettorale, con punte di esibizione macchiettistica nella volata finale. La sconfitta di Truzzu è dunque a suo carico. Investe le relazioni interne alla destra e intacca l'immagine pubblica della premier. Meloni cerca naturalmente di minimizzare la valenza del risultato. Salvini ne approfitta per rilanciare la carta del terzo mandato per Zaia e i governatori del Nord, cercando di sopravvivere alla disfatta del proprio progetto di Lega Nazionale (“Per Salvini premier”). Nessun immediato terremoto in vista, beninteso, ma le acque della coalizione si increspano, in attesa del voto in Abruzzo.

La coalizione tra PD, M5S e Alleanza Verdi-Sinistra ha capitalizzato il tonfo di Truzzu. La candidata pentastellata Alessandra Todde ha beneficiato di un voto più largo di quello della sua coalizione, non senza l'apporto del voto disgiunto targato Lega e Partito Sardo D'Azione.
Il successo politico è stato in ogni caso superiore al successo elettorale. Non ha risolto né poteva risolvere le contraddizioni che attraversano il centrosinistra su scala nazionale, a partire dalla lotta tra PD e M5S per l'egemonia. Ma ha rafforzato Schlein all'interno del PD, disarmando per il momento i malumori interni sul terzo mandato, ed ha legittimato ruolo e ambizioni di Conte.
L'apertura di Calenda al centrosinistra dopo il fallimento dell'operazione Soru è un ulteriore portato del risultato sardo. L'alleanza borghese di liberalprogressisti, liberalconfindustrali e pentastellati rafforza in prospettiva la propria candidatura all'alternanza, in una logica bipolare. È, in prospettiva, un possibile governo di ricambio del capitalismo italiano, in un quadro NATO ed europeista. Il sostegno di PD e M5S alla missione navale nel Mar Rosso, in appoggio allo Stato sionista, riassume la loro natura.

Ciò che invece le elezioni sarde confermano impietosamente è l'assenza di una sinistra autonoma e alternativa ai poli borghesi.
Sinistra Italiana, in compagnia dei Verdi, rafforza il proprio ruolo di ancella subalterna del polo borghese liberale. L'unica vera preoccupazione di Fratoianni era di essere svuotato elettoralmente dall'effetto Schlein e di essere dunque scaricato dalla prossima coalizione di governo. Il 4% e rotti lo ha rassicurato su entrambi i fronti, come il fatto che Calenda non ponga problemi circa la presenza di Alleanza Verdi-Sinistra (AVS) in coalizione. La larga intesa in Abruzzo da AVS a Calenda, e persino a Italia Viva di Renzi, è in questo senso per Fratoianni un successo strategico.

Quanto a Rifondazione Comunista si è coalizzata con... Azione e +Europa di Emma Bonino attorno alla candidatura del padrone di Tiscali Renato Soru. Per noi nessuna meraviglia. Rifondazione Comunista è stata nella giunta di Renato Soru dal 2004 al 2009. Il suo segretario regionale ha rivendicato pubblicamente non a caso l'esperienza di governo con Soru per tutta la campagna elettorale, ringraziando Soru per il riconoscimento di Rifondazione. Il fatto che Soru, in perfetta coerenza con la propria natura padronale, abbia fatto una campagna elettorale denunciando il reddito di cittadinanza come assistenziale, col plauso naturale di Calenda e Bonino, non ha turbato Rifondazione. L'importante per Rifondazione era il proprio riconoscimento da parte di Soru. Penoso.
Non meno penosa l'assenza di una sola parola sul sito nazionale del PRC circa le elezioni in Sardegna. Delle due l'una. O la scelta di Soru era condivisa (o comunque coperta) dalla Segreteria nazionale, e allora era corretto rivendicarla e intestarsela, oppure non lo era, e allora occorreva dissociarsi. Il silenzio è l'opportunismo peggiore, che i militanti del PRC non si meritano.

La battaglia per un partito indipendente della classe lavoratrice sulla base di un programma anticapitalista è l'unica vera risposta alla capitolazione della sinistra politica. Il PCL è oggi l'unico partito che si batte controcorrente, con coerenza, per questa prospettiva. Costruiamolo insieme.

Partito Comunista dei Lavoratori